Sull’Uso della Mitologia in Astrologia

Il Concilio degli Dei – Raffaello, 1517-1518

Ho scritto questo articolo sull’uso della mitologia quale fonte delle delineazioni astrologiche alcuni anni fa mentre frequentavo ancora il Kepler College. Penso di aver inizialmente scritto l’articolo perché ero un po’ turbato dall’argomento e volevo concentrarmi sull’uso di tecniche più precise, essendo stato introdotto appena qualche mese prima all’astrologia ellenistica e indiana. All’epoca ero anche piuttosto entusiasta di alcune delle argomentazioni proposte da Robert Schmidt riguardo alle origini concettuali della tradizione ellenistica e alla possibile influenza del Timeo di Platone sul modello cosmologico originale degli astrologi, come si leggerà più avanti. L’articolo è piuttosto amatoriale e oggi, probabilmente, lo scriverei in modo un po’ diverso, ma lo presenterò nella forma originale e solo con alcune lievi modifiche perché la sostanza del discorso, presentata alla fine, è essenzialmente quella che ancora sosterrei.

Non si tratta di un articolo tecnico su come descrivere i temi natali usando la mitologia, si tratta più di un’argomentazione teorica contro l’uso della mitologia come strumento centrale nelle delineazioni. Sottolineo che non voglio denigrare chi è sostenitore di un simile approccio, ho diversi buoni amici che impiegano regolarmente la mitologia nelle delineazioni delle carte; questo scritto è più una razionalizzazione delle ragioni per cui ho scelto di non adottare lo stesso approccio come base della mia pratica astrologica.

Il Posto del Mito in Astrologia

L’astrologia oroscopica apparve nell’area mediterranea intorno al I o II secolo a.C. e fu fortemente influenzata dal pensiero delle precedenti scuole filosofiche ateniesi ed ellenistiche, in particolare da quello di Platone (437-347 a.C.). Robert Schmidt ha recentemente proposto che l’intero apparato dell’astrologia oroscopica fosse un costrutto teorico ideato da un’unica persona, o da un gruppo di persone, nel corso di una o due generazioni basato sull’idea platonica che il cosmo è un essere vivente e senziente, con un corpo e un’anima. [1] Schmidt sostiene, inoltre, che questo essere cosmico possiede una coscienza razionale che è in grado di conoscere gli eventi che accadono ai singoli esseri umani e che i fenomeni astronomici osservabili e studiati dagli astrologi sono in realtà ritenuti espressioni di pensieri che hanno luogo nella coscienza cosmica di tale essere.

Seguendo questa premessa di base, si pensa che le tradizioni astrologiche preesistenti derivate dai babilonesi e dagli egiziani siano state sintetizzate e utilizzate come fondamento di un intricato e metodico costrutto che poteva essere utilizzato per leggere, tradurre e interpretare i pensieri dell’essere cosmico mentre si verificano in relazione ai singoli esseri umani o agli eventi. Il linguaggio tecnico dell’astrologia si basava sul tentativo di utilizzare la natura poliedrica della lingua greca per trasmettere concetti di carattere universale in modo molto specifico. Schmidt sostiene che il significato dei concetti astrologici era implicito nella lingua e nella grammatica utilizzate e che gran parte del significato derivato dal sistema era effettivamente inseparabile dalla lingua stessa. Sembra che il linguaggio usato nei testi sopravvissuti della tradizione astrologica ellenistica fosse radicato in una struttura teorica concreta piuttosto multivalente da non giustificare l’uso delle analogie, delle similitudini o della mitologia perché i termini usati erano in grado di trasmettere un messaggio molto preciso attraverso i complessi risvolti linguistici dell’antica lingua greca.

Sebbene i pianeti stessi presero il nome dagli dei del pantheon greco secoli prima che l’astrologia oroscopica si diffondesse dalla città di Alessandria, in nessuno dei testi astrologici ellenistici esiste una correlazione diretta tra la mitologia degli dei e i significati dei corrispondenti corpi planetari che portano i loro nomi. Nel contesto dell’interpretazione astrologica, la connessione tra i nomi dei corpi celesti e i loro miti corrispondenti non sembra esistere nella tradizione astrologica occidentale fino al XX secolo, e quindi è un’innovazione relativamente recente rispetto alla storia dell’astrologia oroscopica nel suo insieme. Essendo uno sviluppo relativamente recente della tradizione occidentale, questo metodo di delineazione della carta natale dovrebbe essere riesaminato nel contesto del sistema astrologico sia antico che contemporaneo al fine di determinare l’applicabilità della mitologia al complesso del costrutto astrologico, sia dal punto di vista teorico che dal punto di vista pratico.

Origini dell’Uso della Mitologia nell’Astrologia Moderna

Secondo Demetra George, in una conferenza tenuta alla Washington State Astrological Association durante il loro incontro nel marzo 2005, il primo astrologo moderno in Occidente che sembra aver esplicitamente usato la mitologia per raccogliere informazioni sulla natura dei pianeti era Liz Greene. Nel paragrafo iniziale del suo primo libro, Saturno, anatomia astrologica di un pianeta, Greene afferma:

… la materia da cui sono composti miti e fiabe è una rappresentazione simbolica dei valori della psiche collettiva inconscia dell’uomo. [2]

Da questa premessa di base, Greene prosegue creando analogie tra i vari miti e “archetipi” del personaggio Saturno/Kronos nella mitologia greca, attraverso cui il pianeta Saturno può essere interpretato dagli astrologi in una carta natale. Afferma nelle sue osservazioni conclusive che:

… un simbolo non può essere compreso tramite le parole ma deve essere affrontato attraverso la facoltà intuitiva…

Quindi, sin dalla sua introduzione, la mitologia è stato uno strumento utilizzato dall’astrologia moderna per enfatizzare la funzione intuitiva di quest’arte in modo da poter trasmettere concetti più ampi, ed è stato fatto in gran parte per sopperire ai limiti del linguaggio moderno e trasmettere la piena complessità di alcuni concetti astrologici.

Il libro di Greene ha attinto moltissimo dallo psicologo Carl Gustav Jung (1875-1961), in particolare da alcuni dei concetti principali che ha proposto durante la sua vita come la nozione degli archetipi, l’inconscio collettivo e la teoria della sincronicità. Nel suo lavoro del 1917 Psicologia dell’inconscio, Jung spiega l’inconscio collettivo e gli archetipi nel seguente modo:

L’inconscio contiene, per così dire, due strati: il personale e il collettivo. Lo strato personale termina ai primi ricordi dell’infanzia, ma lo strato collettivo comprende il periodo pre-infantile, cioè i residui della vita ancestrale. Mentre le immagini della memoria dell’inconscio personale sono, per così dire, piene perché sono immagini vissute personalmente dall’individuo, gli archetipi dell’inconscio collettivo non sono piene perché non sono forme vissute personalmente. D’altra parte, quando l’energia psichica regredisce, andando persino oltre il periodo della prima infanzia, e finisce nell’eredità della vita ancestrale, allora vengono risvegliate le immagini mitologiche: questi sono gli archetipi. [3]

Demetra George approfondisce la questione degli archetipi nel suo libro Asteroid Goddesses:

Gli archetipi sono le forme di pensiero universali essenziali disponibili alla coscienza umana in ogni tempo. [4]

Incorporando queste definizioni dell’inconscio collettivo e degli archetipi nell’argomento di Schmidt secondo cui gli astrologi dell’età ellenistica consideravano l’universo come una creatura vivente i cui pensieri potevano essere letti attraverso i movimenti dei corpi celesti, forse potremmo ipotizzare che l’inconscio collettivo da cui attingiamo sia in qualche modo collegato alla coscienza di questo cosmo vivente in cui viviamo. Forse gli archetipi o i concetti all’interno di quella coscienza sono disponibili come risorsa per l’umanità e sono in qualche modo intrecciati con i pensieri della mente cosmica, così come espresso dai movimenti dei corpi celesti. Gli archetipi sono in qualche modo di carattere generale, poiché sono concetti sostanzialmente ampi, non-specifici e di natura universale e non sono così particolareggiati perché si presentano ovunque nel nostro mondo e non solo attraverso il linguaggio specifico dell’astrologia. Si potrebbe sostenere che l’astrologia stessa sia un tentativo sistemativo o strutturato di tradurre le cognizioni concettuali multivalenti del cosmo in un linguaggio al fine di rivelare “pensieri” specifici, e quindi l’uso della mitologia per delineare ulteriormente alcuni archetipi più ampi rappresenterebbe un’aggiunta a un sistema già di per sé complesso, poiché per sua natura la mitologia è generale nel suo carattere e nel suo significato, mentre l’astrologia può essere più specifica in quanto è una lingua ben definita.

Altre lingue nel mondo antico, infine, soppiantarono il greco classico utilizzato per sviluppare l’astrologia ellenistica, e quando il greco antico come lingua parlata scomparve, portò via con sé gran parte dei significati inerenti ai concetti astrologici originali. La conoscenza astrologica è stata tradotta in altre lingue numerose volte ed è stata trasmessa a diverse culture, subendo ogni volta trasformazioni secondo i diversi sistemi di credenze, le lingue e i costumi dei paesi in cui si è diffusa. In ogni caso, l’astrologia è stata adattata alle culture dei diversi paesi riceventi. Sebbene vi siano stati spesso dei tentativi deliberati di conservare l’intento e il significato originali alla base della terminologia tecnica, durante il processo di trasformazione e adattamento gran parte del significato del linguaggio tecnico è stato modificato o dimenticato. Quando l’astrologia tornò in auge nel mondo anglofano nel XX secolo, era rimasto molto poco dell’apparato teorico e interpretativo originale. L’astrologia oroscopica occidentale perse la profondità tecnica e filosofica che aveva avuto dell’antichità, per non parlare dell’intima comprensione delle lingue utilizzate nelle tradizioni precedenti per giungere a un intendimento più profondo dei dettagli specifici del sistema. Dopo lo sviluppo e la proliferazione dei concetti psicologici di Jung, era naturale che questi venissero adottati e perfezionati dagli astrologi perché fornivano una base teorica coerente che mancava. Non sorprende che gran parte del lavoro di Jung fosse incentrato sullo studio dei concetti del mito e del simbolismo in relazione alla psiche.

L’Uso del Mito Oggi

Si potrebbe sostenere che l’uso della mitologia per descrivere concetti astrologici sia stato diffuso dagli astrologi nel XX secolo fondamentalmente a causa delle inadeguatezze sia del moderno costrutto astrologico sia della terminologia tecnica all’epoca disponibile, nonché della necessità di trovare un modo migliore per trasmettere le cognizioni della mente cosmica. La mitologia non è una traduzione precisa di quelle cognizioni cosmiche, è più simile, piuttosto, a un profilo approssimativo o a un’allegoria dei concetti astrologici. Si trova completamente separato dall’intero apparato astrologico di per sé, è come se fosse una sovrapposizione alle informazioni iniziali che possono essere colte analizzando i posizionamenti planetari in una carta oroscopica. Questo perché l’astrologia non è fondamentalmente mitologica, e forse nemmeno archetipica in senso stretto, è piuttosto un linguaggio ben preciso, sebbene possa essere tradotto in paradigmi concettuali diversi, compresi i regni del mitologico e dell’archetipico. Ma così facendo si perde una certa precisione intrinseca al linguaggio stesso dell’astrologia, perché il mito è naturalmente predisposto ad essere impreciso, e quindi il significato è generalizzato e non specifico.

Perciò, mentre la mitologia dovrebbe sì essere utilizzata per aiutare a chiarire e trasmettere determinati messaggi, storie e sentimenti, ciò non dovrebbe essere fatto a spese dell’accuratezza tecnica o dell’integrità del sistema. La mitologia dovrebbe essere trattata più come un contorno o come la “ciliegina sulla torta” dell’apparato astrologico stesso, in quanto non costituisce il nucleo del sistema.


Note

1. Robert Schmidt, Kepler College Sourcebook of Hellenistic Material with Commentary, Project Hindsight, Cumberland, MD, 2003, pg. 4-5.

2. Carl Jung, On the Psychology of the Unconscious in Two Essays on Analytic Psychology, Meridian Books, Cleveland, OH, 1965, pag. 87.

3. Liz Greene, Saturn, A New Look at an Old Devil, Samuel Weiser, New York, 1977, pag. 9.

4. Demetra George, Asteroid Goddesses, ACS Publications, San Diego, CA, 1986, pag. 12.


Fonte testo: On The Use of Mythology in Astrology, di Chris Brennan
Traduzione: Alessandra Ricci

[Una breve discussione di Chris Brennan sull’uso del mito in astrologia può essere ascoltata qui: Q&A Episode: Arabic Parts, House Division, Mythology, minuti 01:52:00 – 02:01:35]